Un’inchiesta che diventa libro.
I più feroci criminali del nostro Paese si raccontano per la prima volta, parlano di coscienza e avviano un confronto con i familiari delle vittime, Maria Falcone, Nando Dalla Chiesa e Giuseppe Livatino e altri.
Uomini etichettati dalle cronache giudiziarie come “mostri”, condannati per i grandi crimini e per le più dolorose stragi che hanno cambiato la storia italiana. Angela Trentini entra nel super carcere di Sulmona (AQ), noto come il “carcere dei suicidi”, con in mano un registratore e un libro di Papa Francesco. Da anni sensibile al mondo carcerario e autrice di servizi e inchieste sui detenuti per le varie testate del servizio pubblico, la cronista non è alla ricerca dello scoop: il suo intento è dare voce ai detenuti ostativi e aiutarli ad avviare una profonda introspezione. Con parole semplici, cerca di trasmettere le grandi tematiche della teologia morale mediante la maièutica, sollecitando così il detenuto a scavare dentro se stesso, nella propria coscienza. Pur se condannato per quaranta omicidi ed associazione mafiosa, Mimmo, figlio di un boss dei boss fedelissimo di Totò Riina, e corresponsabile degli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino, non si riconosce nell’appellativo “criminale”. “Giudico la mia coscienza pulita perché ho inseguito tutto ciò che ho visto fare dai miei genitori”. La famiglia, dunque, evidenzia Mimmo, è il centro del mondo, il rifugio, il metro di tutte le cose.
E lui non ha scelta, deve conservare l’esistente e tramandarlo. Maurizio Gronchi, teologo sistematico, sensibile alle questioni sociali, si sofferma su alcuni aspetti antropologici connessi ai temi del crimine, analizza il condizionamento sociale e familiare di questo copione già scritto. “Il carcere è un luogo in cui il tempo all’apparenza non esiste” – sottolinea Maurizio Gronchi – “Ma i vuoti a perdere, condannati a vivere lo stesso giorno all’infinito, ad abitare e a condividere una dimensione in cui drammi e miserie collettive convivono con desideri e speranze individuali di riscatto non sono solo quelli ‘dentro’, gli altri. Riguardano ognuno di noi”.
Alle trame delle loro vite intricate, segnate da terribili delitti, si uniscono anche racconti di umiliazioni, speranze, rimorsi e confessioni. Come quelle di Domenico, killer del “giudice ragazzino” Rosario Livatino che, in una lettera olografa, indirizzata al Santo Padre, racconta chi era e chi pensa di essere oggi. Storie di forti emozioni: l’infanzia da pastore, l’amore per la sua fidanzata, un legame perduto, le fasi dell’arresto, la vita in carcere. Pagine che narrano un incontro, un contatto con l’Uomo Criminale: lo si guarda in faccia e si ascoltano le sue parole, lo si aiuta a riconoscere la sua coscienza ma senza idealizzare, senza sottintendere alcuna indulgenza. “Ogni forma di pietismo sarebbe soltanto inutile”, – evidenzia Angela Trentini – “Senza contare che si farebbe un torto anche alle vittime delle loro azioni e il dolore delle vittime è da tenere sempre ben presente”.
E proprio le vittime raccontano quanto sia difficile perdonare. Spazio anche ai famigliari delle vittime: tra questi Nando Dalla Chiesa offre una riflessione sulla pena, sulla giustizia, sul rapporto tra carcere e società. Il figlio del Generale ucciso ricorda la testimonianza sottovoce, mai più dimenticata, dell’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel giorno dei funerali: “La mafia vuole il silenzio, la mafia uccide anche grazie al silenzio”.
L’importanza dell’educazione alla legalità nelle scuole è sottolineata nell’ottavo capitolo da Maria Falcone: “Perché nessun giovane possa più dire non sapevo che la mafia fosse un male.”
Questo volume consente di analizzare, da diverse prospettive, temi come l’educazione alla legalità attraverso l’analisi dei condizionamenti ambientali e familiari.